Post by Alessandro AntonucciCredo che non sempre vi sia una relazione fra tale
'auto-gratificazione' ed il valore intrinseco di cio' che
si sta suonando. Anzi spesso (almeno e' cosi' per la
mia modestissima esperienza) appena ci si rende
conto che si sta suonando 'bene' ed in generale
appena si comincia a pensare troppo a quello
che si sta facendo, e' proprio allora che le frasi
cominciano a perdere di significato.
Verissimo e riscontrabile quel che dici.
Mi pare sia un problema di identificazione del musicista in ciò che suona
con probabile perdita di quella consapevolezza, ossia di quel distacco dal
"suonare", che aiuta la sua energia creativa a produrre Musica nel senso
pieno del termine. Non a caso oltre al saper suonare occorre al musicista
jazz, all'improvvisatore, grande maturità interiore e consapevolezza per
arrivare a certi risultati musicali.
Post by Alessandro AntonucciCredo invece che ogniqualvolta si 'comunica' con
i musicisti con cui si sta suonando, si riceva una
forma di gratificazione e di piacere che puo' forse
prescindere dalla qualita' intrinseca della musica.
Togli il forse, infatti le due cose non sono necessariamente in relazione.
Post by Alessandro AntonucciEd e' forse per questo motivo che spesso ci sono musicisti
che confondono la bellezza di un loro disco o concerto
con il grado di interplay che hanno saputo produrre
assieme agli altri musicisti.
Mi capita non di rado di confrontarmi con loro alla fine dei concerti.
Spesso sono convinti di aver suonato bene quando ho da spettatore
impressioni opposte, o quasi. Poi, quando si riascoltano nei nastri non
infrequentemente rimangono delusi o insoddisfatti da ciò che ascoltano.
Succede anche all'ascoltatore al concerto una cosa del genere, anche lì
credo per un processo di identificazione.
Post by Alessandro AntonucciP.S.
Ricordo che mi aveva molto colpito leggere un'intervista
di Jarrett in cui lo stesso lamentava l'assenza di 'divertimento'
legata alla dimensione dei suoi concerti in solo, rispetto a quanto
non accadesse ad esempio con il trio. Lo stesso puntualizzava
pero' fermamente come questo non avesse nessun nesso con
il valore intrinseco della sua musica.
Infatti vi è una componente di "sofferenza" nel processo creativo più che di
divertimento (non sempre però) nel produrre musica. Nel caso di Jarrett al
piano solo è sicuramente così, visto l'approccio totalizzante che utilizza e
comunque vista anche l'assenza d'interazione con altri musicisti
(interagisce tuttavia con il pubblico che per la sua filosofia va comunque
bene) che gli toglie in qualche modo la componente di "interazione sociale"
che nel jazz è sempre stato ed è fattore di notevole importanza, anche ai
fini della creazione musicale, sin dai tempi di New Orleans.
Comunque non è l'unico, spesso quella sofferenza si è registrata nelle
sedute e nei concerti di Miles Davis, solo ad esempio. Si pensi alla
movimentata session di Bitches Brew, a quella con Monk e Milt Jackson, o al
concerto capolavoro alla Philarmonic Hall del febbraio 1964, se non erro,
quello di "My funny valentine". I musicisti erano convinti di non aver
suonato bene, poi ebbero modo di ascoltare le registrazioni...
ciao
Facchi
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