Rispondo a "giorgio p." <***@libero.it>
Sintetizzo le due questioni su cui tu chiedi un approfondimento:
1) In che senso i rappresentanti sella cosiddetta "musica colta" hanno
spudoratamente
sottovalutato l'importanza del ritmo, sebbene esso sia l'aspetto più forte e
primordiale
di ogni espressione musicale.
2) Esistono fonti in cui si affermi che il ritmo è "opera del demonio", con
riferimento soprattutto
alla musica di ispirazione liturgica.
Premesso che si tratta di fatti molto complessi, che hanno pervaso e
influenzato prepotentemente
il percorso della storia della musica per circa due millenni, non credo di
poter rispondere
in modo esauriente in questa sede. Nel mio post precedente avevo, comunque,
fatto riferimento
a queste due considerazioni (chiamiamole: 1 e 2) per giustificare la scarsa
propensione a un tipo
di scansione ritmica profonda, tipica del jazz e musiche derivate, da parte
dell'individuo medio
della cultura occidentale, osservando che viceversa tale propensione sia
enorme da parte
degli africani e di conseguenza (anche se leggermente stemperata) anche da
parte degli afro-americani.
Posso dire che le questioni 1 e 2 sono intimamente connesse.
La questione 1 si può verificare fin dall'insegnamento del "solfeggio" che
tende a risolvere i problemi
legati al ritmo mediante la "divisione e suddivisione" delle battute in modo
esclusivamente matematico.
Quasi tutta la "musica colta" risente di questa impostazione piuttosto
meccanica, che relega in sostanza
una scansione ritmica più profonda ad una posizione piuttosto marginale. Il
superamento dell'impoverimento
ritmico si ottiene quasi sempre con un accorto uso dell'agogica e della
dinamica, cioè in sostanza
con quello che i classici chiamano: l'interpretazione.
La questione 2 è la "madre di tutte le questioni" (e quindi anche della
questione 1).
Le fonti...sono talmente innumerevoli che non ne so citare su due piedi
neanche una!
Ricordo comunque che la musica sacra si è basata per un millennio sul
cosiddetto Canto Gregoriano, il quale non faceva uso del ritmo
nel senso in cui stiamo discutendo (e neanche di quello del solfeggio
tradizionale). Era musica vocale, monodica,
cantata principalmente dal clero e dalla cosiddetta Scola Cantorum senza
nessun accompagnamento strumentale, e meno che mai da strumenti
a percussione, considerati indegni dei riti religiosi e che avrebbero potuto
suggerire comportamenti lascivi (quindi "opera del demonio").
Il primo strumento musicale che fu ammesso in chiesa fu l'organo (verso il
1200 nella chiesa di Notre Dame a Parigi,
che era lontano da Roma e ...un tantino più perversa!), giustificato dal
fatto che il suono dello strumento rassomigliava
a un coro di voci umane.
Mi viene in mente, inoltre, che su una pubblicazione ecclesiastica della
prima metà del Novecento (di cui purtroppo mi sfugge il nome,
ma che sicuramente qualche lettore del newsgroup potrà citare meglio di me),
alla voce "Jazz" si dava una definizione di questo genere:
"...musica selvaggia, piena di asprezze armoniche, basata su ritmi ossessivi
e sincopati, che dà sfogo ai più bassi istinti dell'uomo..."
Saluti, Al Joshua