Discussione:
30 anni fa agharta e pangaea
(troppo vecchio per rispondere)
winniemiles
2005-02-01 21:36:02 UTC
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esattamente trenta anni fa, il primo febbraio 1975, Miles Davis a Osaka
tenne due concerti, uno pomeridiano e uno serale: Agharta e Pangaea.

Era il preludio del lungo ritiro, il punto del non ritorno, l'ultimo fuoco.
Solo in Giappone Miles veniva ancora considerato e probabilmente capito.
Altrove era allora ripudiato e nostalgicamente ricordato per i suoi
capolavori di 15-20 anni prima.

Ascoltando quella musica, 30 anni dopo, quanta freschezza e che differenza
rispetto al resto della produzione musicale di quel momento. Miles era
comunque avanti, era comunque sempre qualcos'altro rispetto al resto.

Agharta e Pangaea meritano di essere considerate tra le migliori
performances di MIles, valutate nel preciso contesto storico di riferimento.

Grazie ancora , Miles, per questa stupenda musica.

w


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LHM
2005-02-01 22:12:05 UTC
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Post by winniemiles
Agharta e Pangaea meritano di essere considerate tra le migliori
performances di MIles, valutate nel preciso contesto storico di riferimento.
Sicuramente due ottimi dischi entrambi.
Tuttavia ritengo che il gruppo di Davis fosse all'apice (nel primo periodo
elettrico) nel corso della tournée europea dell'Autunno 1971.
L'esibizione alla Konzerthaus di Vienna del 5 novembre 1971 resta secondo
me, in questo senso, la sua vetta più alta.
--
Niccolò

NP: Frank Ricotti Quartet - "Our Point Of View"
luca diodori
2005-02-02 18:19:04 UTC
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Post by LHM
Sicuramente due ottimi dischi entrambi.
Tuttavia ritengo che il gruppo di Davis fosse all'apice (nel primo periodo
elettrico) nel corso della tournée europea dell'Autunno 1971.
L'esibizione alla Konzerthaus di Vienna del 5 novembre 1971 resta secondo
me, in questo senso, la sua vetta più alta.
A mio modo di vedere Agharta e Pangaea sono due opere minori del Davis
elettrico, per quanto comunque interessanti. Davis era all'epoca stanco e
malato, suonava poco la tromba, forse proprio per questo motivo, e il
gruppo è, sempre a mio modo di vedere, non all'altezza dei precedenti,
cosa cui anche Niccolò mi pare faccia implicitamente riferimento.
Non comprendo quindi cosa vi sia di particolare da commemorare.
Luca
--
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LHM
2005-02-02 20:42:53 UTC
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Post by luca diodori
A mio modo di vedere Agharta e Pangaea sono due opere minori del Davis
elettrico, per quanto comunque interessanti. Davis era all'epoca stanco e
malato, suonava poco la tromba, forse proprio per questo motivo, e il
gruppo è, sempre a mio modo di vedere, non all'altezza dei precedenti,
cosa cui anche Niccolò mi pare faccia implicitamente riferimento.
Evidentemente quel gruppo era meno brillante di quello del 1971 (che
annoverava musicisti del calibro di Gary Bartz e Keith Jarrett), tuttavia a
partire dal 1972 i gruppi di Davis erano comunque funzionali alle direttrici
sempre più radicali impartite dal "leader".
Con specifico riferimento ai concerti giapponesi di cui si parla, non è
secondo me che il gruppo "non fosse all'altezza", quanto piuttosto lo stesso
Davis a versare in una sorta di "impasse" creativa (oltre che esistenziale),
dopo anni di ricerca "senza rete" o quasi.
--
Niccolo'
w***@zzzz.it
2005-02-04 00:37:54 UTC
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Amici, non mi sorprendono le vostre opinioni.

La critica, almeno fino a metà anni '90, non è mai stata tollerante nei
confronti delle proposte musicali di Davis dopo Bitches Brew. Si è parlato
di "suicidio artistico" e di "musica quasi sempre più scadente" (Polillo nel
suo ottimo libro, "Jazz", Mondadori), di "complesso allo sbando" e
"organizzazione del lavoro che sapeva di autolesionismo" (Piacentino, su
Musica Jazz del Maggio 86) nonchè di "componente multidirezionale,
dispersiva, quasi casuale" (Sessa su Musica Jazz di Febbraio 89). E questo
per limitarsi alle cose di casa nostra.

Ma si provi a considerare la velocità del cambiamento nei progetti, nei
musicisti coinvolti, nell'estetica musicale stessa; Niccolò mette a
confronto le performances del 1971 con quelle del 1975: sono cambiate troppe
cose, sia all'esterno che all'interno dell'universo davisiano per poter
semplicemente fare un paragone. Dopo il 1968 il ritmo del cambiamento,
parallelamente a quanto avveniva nella stessa società occidentale, nella
proposta musicale di Miles Davis è impressionante. In studio e dal vivo ogni
sessione è diversa dalla precedente e sono molto pochi i punti di contatto.
Si pensi solo al 1970: tra l'inizio e la fine dell'anno la mole delle
registrazioni è tale da mettere in difficoltà la stessa Columbia Cbs che lo
produceva. E tra Jack Johnson, Live at Fillmore e Live Evil non ci sono
particolari elementi di comunanza; per non dire delle incisioni apparse
successivamente a testimonianza di quell'anno.

In una tale vorticosa turbolenza come è possibile giudicare o semplicemente
seguire proposte che sconvolgono ripetutamente e sistematicamente lo status
quo? Mi sono sempre chiesto se, con particolare riferimento alle
registrazioni del 1975, chi le ha giudicate si sia soffermato
sufficientemente sul loro contenuto. Sessa ad esempio, nell'articolo citato,
delinea un quadro di anarchia collettiva: "Davis prosegue la sua
impressionante ricerca ricerca extramelodica ma Fortune non lo segue in
queste proposte [...] i due chitarristi [...] si lasciano spesso prendere la
mano da artifici tecnologici. La sezione ritmica, dal canto suo, non
personalizza i diversi accompagnamenti, elaborando [...] un tappeto sonoro
ostico, per nulla dialiettico nei confronti dei solisti". Sembra una
descrizione di un gruppo totalmente free. Se Sessa riascoltasse con maggiore
attenzione le registrazioni sono sicuro che tornerebbe sulle sue
considerazioni.

Non sono affatto d'accordo, così come naturalmente non sono d'accordo con
Luca sul proprio giudizio di Agharta e Pangaea: l'apparire ostico è
comprensibile se l'ascolto è condizionato, come mi sembra sia avvenuto per
voi, Luca e Niccolò, da altri momenti musicali davisiani, precedenti.
Cercando di prescindere dai condizionamenti, così come l'ascolto di Bitches
Brew non può essere condizionato da ESP e quest'ultimo dai lavori con Gil
Evans e così via, non si può negare una complessiva coesione nei due
concerti di trent'anni fa nè si può negare creatività: due concerti a poche
ore di distanza con circa due ore e mezza di musica mai ripetitiva, non
accostabile a nessuna proposta contemporanea e il trombettista, che le
cronache definivano malato, che a mio parere appare in ottima forma.

Polillo affermava che Miles si fosse venduto al mercato della musica per i
bianchi: a mio parere si sbagliava; il "mercato" dopo il 1971 non capiva più
Miles (nè lui si faceva capire), non c'era nulla di ammiccante per gli
occidentali e probabilmente nemmeno per la gente a cui l'artista pensava di
rivolgersi, cioè il popolo di colore. Forse l'unico successo l'aveva proprio
in Giappone che guarda caso ha sempre rappresentato discograficamente e con
la sua ultima tournee prima del lungo ritiro la musica più avanzata di
Miles. Un'attenta rilettura, che mi pare sia già iniziata dopo la metà degli
anni '90 (solo da quegli anni la Columbia si è degnata di riproporre, fuori
dal Giappone, la produzione discografica davisiana post 1970) dovrebbe dare
il giusto peso al momento musicale più bistrattato di Miles Davis.

Saluti,
Vinicio
Post by LHM
Post by luca diodori
A mio modo di vedere Agharta e Pangaea sono due opere minori del Davis
elettrico, per quanto comunque interessanti. Davis era all'epoca stanco e
malato, suonava poco la tromba, forse proprio per questo motivo, e il
gruppo è, sempre a mio modo di vedere, non all'altezza dei precedenti,
cosa cui anche Niccolò mi pare faccia implicitamente riferimento.
Evidentemente quel gruppo era meno brillante di quello del 1971 (che
annoverava musicisti del calibro di Gary Bartz e Keith Jarrett), tuttavia a
partire dal 1972 i gruppi di Davis erano comunque funzionali alle direttrici
sempre più radicali impartite dal "leader".
Con specifico riferimento ai concerti giapponesi di cui si parla, non è
secondo me che il gruppo "non fosse all'altezza", quanto piuttosto lo stesso
Davis a versare in una sorta di "impasse" creativa (oltre che
esistenziale),
Post by LHM
dopo anni di ricerca "senza rete" o quasi.
--
Niccolo'
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Inviato via http://arianna.libero.it/usenet/
lazlo rendef
2005-02-04 08:15:48 UTC
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Post by w***@zzzz.it
La critica, almeno fino a metà anni '90, non è mai stata tollerante nei
confronti delle proposte musicali di Davis dopo Bitches Brew. Si è parlato
di "suicidio artistico" e di "musica quasi sempre più scadente" (Polillo nel
suo ottimo libro, "Jazz", Mondadori), di "complesso allo sbando" e
"organizzazione del lavoro che sapeva di autolesionismo" (Piacentino, su
Musica Jazz del Maggio 86) nonchè di "componente multidirezionale,
dispersiva, quasi casuale" (Sessa su Musica Jazz di Febbraio 89). E questo
per limitarsi alle cose di casa nostra.
Sono commenti che arrivano sino agli anni '80, mi pare, e comunque non
trovo il commento di Sessa così sbagliato, anche oggi.
Polillo non fa testo perché in effetti sul Davis elettrico, come su altro,
prese delle belle topiche, ma fu in bella compagnia in quel periodo, anche
perché la critica jazz era dilettantesca (come lo è ancora tutt'ora per
molti versi).
A me risulta invece che per tutti gli anni '90 si fece ammenda, ed oggi
forse si è arrivati al punto opposto, cioè affermare che qualsiasi cosa di
Davis è eccellente, il che non è vero, come non è vero per qualsiasi altro
genio del jazz. Un artista manifesta sempre alti e bassi creativi e se
consideriamo che Davis era sempre alla ricerca esasperata del nuovo la
cosa può anche portare a qualche rischio di troppo e a qualche ciambella
priva di buco. Quindi è legittimo parlare di opere minori e opere maggiori
(se ne parla anche per i grandi della musica classica, non vedo il
problema quindi per Davis, che non è certo un intoccabile).
Post by w***@zzzz.it
Ma si provi a considerare la velocità del cambiamento nei progetti, nei
musicisti coinvolti, nell'estetica musicale stessa; Niccolò mette a
confronto le performances del 1971 con quelle del 1975: sono cambiate troppe
cose, sia all'esterno che all'interno dell'universo davisiano per poter
semplicemente fare un paragone.
Non sono d'accordo, un paragone si può fare, poiché il procedimento
davisiano per produrre quel tipo di musica era stato già messo a punto da
tempo, tanto più che in molte parti di quei dischi si elaborano materiali
tematici prodotti proprio a cavallo del 1970, procedura che Davis peraltro
applicava sistematicamente già sin dai concerti dal vivo della metà anni
'60 (si pensi ai Live at Plugged Nickel).
IL problema è che il gruppo aveva ormai subito parecchi cambiamenti e
molto rapidi (non tutti per motivi artistici, ma proprio perché alcuni dei
grandi musicisti precedenti se ne erano andati per diversi altri motivi) e
non aveva più tra le sue fila certi nomi, quindi non poteva godere di
certi contributi e di certe intese per mantenere alto e costante il
livello qualitativo nello scorrere della musica, che invece erano assai
più naturali in precedenza con musicisti come Shorter, Hancock, Corea,
Holland, Jarrett, Bartz, Mc Laughlin, Liebman, ecc.ecc.
Può darsi che si potessero far risalire a questo i problemi cui Sessa
faceva riferimento nei suoi scritti citati.
Post by w***@zzzz.it
Si pensi solo al 1970: tra l'inizio e la fine dell'anno la mole delle
registrazioni è tale da mettere in difficoltà la stessa Columbia Cbs che lo
produceva. E tra Jack Johnson, Live at Fillmore e Live Evil non ci sono
particolari elementi di comunanza; per non dire delle incisioni apparse
successivamente a testimonianza di quell'anno.
Sono considerazioni credo risapute e abbastanza note a tutti. Basta
leggerle sui libri dedicate a Davis.
Post by w***@zzzz.it
Mi sono sempre chiesto se, con particolare riferimento alle
registrazioni del 1975, chi le ha giudicate si sia soffermato
sufficientemente sul loro contenuto.
Si ci siamo soffermati e da alcuni decenni. Per quanto mi riguarda
preferisco Pangaea ad Agharta, in ogni caso ritengo anch'io, opinione del
tutto personale, queste incisioni non al livello delle precedenti.

Sessa ad esempio, nell'articolo citato,
Post by w***@zzzz.it
delinea un quadro di anarchia collettiva: "Davis prosegue la sua
impressionante ricerca ricerca extramelodica ma Fortune non lo segue in
queste proposte [...] i due chitarristi [...] si lasciano spesso prendere la
mano da artifici tecnologici. La sezione ritmica, dal canto suo, non
personalizza i diversi accompagnamenti, elaborando [...] un tappeto sonoro
ostico, per nulla dialiettico nei confronti dei solisti". Sembra una
descrizione di un gruppo totalmente free. Se Sessa riascoltasse con maggiore
attenzione le registrazioni sono sicuro che tornerebbe sulle sue
considerazioni.
Io non credo. A me pare che Sessa abbia visto sostanzialmente giusto e per
certi versi Davis faceva a suo modo del free in quel periodo.
Post by w***@zzzz.it
Non sono affatto d'accordo, così come naturalmente non sono d'accordo con
Luca sul proprio giudizio di Agharta e Pangaea: l'apparire ostico è
comprensibile se l'ascolto è condizionato, come mi sembra sia avvenuto per
voi, Luca e Niccolò, da altri momenti musicali davisiani, precedenti.
Non è un problema di "ostico", sono tutti pregiudizi i tuoi sull'ascolto e
sulla capacità di giudizio altrui. Personalmente preferisco "On the
corner" ad Agharta e Pangaea e credo sia forse il più ostico di tutti i
suoi dischi.
Post by w***@zzzz.it
Cercando di prescindere dai condizionamenti, così come l'ascolto di Bitches
Brew non può essere condizionato da ESP e quest'ultimo dai lavori con Gil
Evans e così via,
sono considerazioni corrette quanto banali per chiunque sia abituato ad
ascoltare e valutare la musica, non sottovaluterei così tanto gli altri
ascoltatori.

non si può negare una complessiva coesione nei due
Post by w***@zzzz.it
concerti di trent'anni fa nè si può negare creatività: due concerti a poche
ore di distanza con circa due ore e mezza di musica mai ripetitiva, non
accostabile a nessuna proposta contemporanea e il trombettista, che le
cronache definivano malato, che a mio parere appare in ottima forma.
Prendo atto del tuo parere. Io ne ho uno diverso, per certi versi
diametralmente opposto al tuo.
Post by w***@zzzz.it
Polillo affermava che Miles si fosse venduto al mercato della musica per i
bianchi: a mio parere si sbagliava; il "mercato" dopo il 1971 non capiva più
Miles (nè lui si faceva capire), non c'era nulla di ammiccante per gli
occidentali e probabilmente nemmeno per la gente a cui l'artista pensava di
rivolgersi, cioè il popolo di colore.
Su questo hai ragione. Polillo non ci capì molto in effetti, ma, ripeto,
fu in ottima compagnia e per alcuni decenni. Gli anni' 70 si sono
caratterizzati per un alto contenuto di pregiudizi critici per il jazz, in
balia tra Rock e Free. Ci sarebbe da disquisire a lungo sull'argomento.

Un'attenta rilettura, che mi pare sia già iniziata dopo la metà degli
Post by w***@zzzz.it
anni '90 (solo da quegli anni la Columbia si è degnata di riproporre, fuori
dal Giappone, la produzione discografica davisiana post 1970) dovrebbe dare
il giusto peso al momento musicale più bistrattato di Miles Davis.
Mi pare che la rilettura sia stata già fatta in dettaglio ed abbia
abbondantemente rivalutato anche i dischi di cui parli, giustamente
peraltro. Sarebbe bello che si facesse altrettanto con materiale di altri
musicisti molto sottovalutati della storia del jazz e che meritano, tanto
per dire.
In effetti il periodo degli anni'70 di Davis è creativamente validissimo e
da rivalutare in pieno, come in effetti si è fatto. D'altro canto, io per
esempio dimensionerei meglio l'ultimo periodo, quello degli anni'80, che
ha prodotto invece diversi dischi che oggi risultano parecchio datati.
Direi però, in generale, di non far passare sempre per oro ciò che oro non
è.
In definitiva, credo che nessuno citerebbe quei due dischi per
rappresentare e descrivere sinteticamente la gigantesca opera di Davis.

saluti
Lazlo
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LHM
2005-02-05 11:11:26 UTC
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Post by lazlo rendef
A me risulta invece che per tutti gli anni '90 si fece ammenda, ed oggi
forse si è arrivati al punto opposto, cioè affermare che qualsiasi cosa di
Davis è eccellente,
In tutte le operazioni di affondamento o rivalutazione operate dai "critici"
è possibile distinguere tra i precursori e i pecoroni che gli si accodano.
Mi pare che tra gli alfieri della rivalutazione critica del primo Davis
elettrico si debba annoverare a buon titolo il serio e appassionato Enrico
Merlin.
A seguire Gianfranco Salvatore e Claudio Sessa, che hanno indubbiamente
goduto di maggior visibilità, ma si parla ormai di seconda metà del decennio
appena trascorso.
In precedenza direi che dettassero ancora legge presso il grande pubblico le
riflessioni di Ian Carr, non sempre centrate e comunque viziate dal rapporto
di quasi contestualità temporale con la fine del primo periodo elettrico
(1975).
Post by lazlo rendef
IL problema è che il gruppo aveva ormai subito parecchi cambiamenti e
molto rapidi (non tutti per motivi artistici, ma proprio perché alcuni dei
grandi musicisti precedenti se ne erano andati per diversi altri motivi) e
non aveva più tra le sue fila certi nomi, quindi non poteva godere di
certi contributi e di certe intese per mantenere alto e costante il
livello qualitativo nello scorrere della musica, che invece erano assai
più naturali in precedenza con musicisti come Shorter, Hancock, Corea,
Holland, Jarrett, Bartz, Mc Laughlin, Liebman, ecc.ecc.
Effettivamente sarebbe opportuno capire una buona volta se la
"spersonalizzazione" dei membri del complesso non fosse effettivamente una
scelta precisa di Davis per temperare le voci diverse di solisti tanto
personali.
Anche se continuo a pensare che i vari Sonny Fortune, Al Foster, Michael
Henderson, David Liebman e gli stessi Pete Cosey, Dominique Gaumont e Reggie
Lucas avessero comunque qualcosa di più di una buona professionalità.
Tornando a "Pangaea" e "Agartha", continuo a pensare che i problemi fossero
da ascrivere al "leader" piuttosto che ai comprimari, a causa di una qual
perdita di lucidità e, forse, del raggiungimento dei limiti
dell'esplorazione radicale cui si era applicato dal 1972 in poi.
Sono pure convinto che, anche se Davis non avesse subito il forzato ritiro
della seconda metà degli anni Settanta, gli sviluppi della sua musica
avrebbero comunque imposto una direzione non dissimile da quella
effettivamente intrapresa negli anni a venire.
Post by lazlo rendef
In definitiva, credo che nessuno citerebbe quei due dischi per
rappresentare e descrivere sinteticamente la gigantesca opera di Davis.
Anche perché, a voler rappresentare l'attività "live" del Davis post-"On The
Corner", probabilmente consiglierei "Dark Magus".
--
Niccolo'
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